Perché mi sento a disagio nelle situazioni sociali?

Nell’ultimo articolo, abbiamo considerato cos’è l’ansia sociale e come capire di esserne vittima. Adesso è il momento di capire da cosa deriva.

1. Tratti personali

Siamo tutti diversi. Ognuno nasce con caratteristiche differenti del sistema nervoso che creano, “mattone dopo mattone”, il suo temperamento. Successivamente, sotto l’influenza della società e delle circostanze esterne, si forma il carattere della persona. Il carattere è qualcosa che acquisiamo. Al contrario, nasciamo con proprietà del nostro sistema nervoso che sono “non restituibili e non rimborsabili”.

Alcune combinazioni di tutti questi fattori possono creare un quadro caratteriale di timidezza, pavidità e indecisione. Aggiungiamo a questa “insalata” la disposizione nevrotica acquisita della personalità e otteniamo una solida base per l’ansia sociale.

Antonio è sempre stato un bambino timido, sin da quando era bambino. All’asilo, stava spesso da solo, giocando in silenzio con un camion giocattolo. Si rifiutava categoricamente di partecipare a giochi e attività comuni con gli altri bambini. Gli insegnanti dell’asilo hanno rinunciato all’idea di convincere Antonio a recitare in uno qualsiasi degli spettacoli. Conosceva molte poesie per bambini, ma riusciva a sussurrarle soltanto all’orecchio del suo insegnante preferito. A scuola la situazione non è cambiata: Antonio aveva un solo amico e raramente parlava in classe. Anche le interrogazioni alla lavagna erano strazianti. Alla fine, gli insegnanti si sono rasseganti e hanno smesso di chiedere ad Antonio di rispondere davanti a tutta la classe. Conosceva perfettamente la materia, ma riusciva a rispondere alle domande solo per iscritto o quando era da solo con l’insegnante. Ora, Antonio è un programmatore. È bravissimo in quello che fa. Il suo lavoro non richiede molta interazione con le altre persone. Ha ancora difficoltà durante le riunioni, ma ci sta lavorando. Cerca di parteciparvi e impiega molto tempo per prepararsi. È una sfida per lui, ma, nel complesso, se la sta cavando bene, con l’aiuto di varie tecniche per ridurre l’ansia.

2. Credenze che derivano dall’infanzia

Potresti obiettare: “Ci risiamo, deriva tutto dall’infanzia”. Eh, sì: estrapola una parola dal contesto e tutto perde di senso, come si suol dire. Naturalmente, l’ambiente in cui siamo cresciuti, le parole che abbiamo sentito da chi si prendeva cura di noi, le nostre prime esperienze di interazione sociale: tutto questo ha un’enorme influenza su di noi.

La mamma di Vanessa era una persona ansiosa. Dal suo punto di vista, tutto era pericoloso: invitare gli amici (potrebbero rubare qualcosa), andare a scuola a piedi da sola (potresti perderti, potresti inciampare ed essere investita da un’auto, potresti incontrare un pedofilo), recitare in una commedia (potresti dimenticare le parole e tutti riderebbero di te), uscire con i ragazzi (vogliono solo una cosa).

Quando restava a casa da sola, Vanessa doveva chiamare sua mamma ogni due ore, per assicurarsi che non si preoccupasse per lei. Non poteva aprire il portone a nessuno (non sappiamo che tipo di criminali sono intenzionati a rapinare noi e i nostri vicini), era vietato parlare con gli estranei (anche con i commessi dei negozi di alimentari). Vanessa ha maturato la ferma convinzione che il mondo sia un posto pericoloso e inospitale, e che sia meglio stare lontani dalle persone. Ora ha già 23 anni, ma evita ancora le persone. Ha paura di comunicare e trascorre un paio d’ore tra dubbi e ansia prima di fare una semplice telefonata.

Tra il modello educativo ricevuto dal bambino e le caratteristiche evolutive della sua psiche c’è una connessione. Le tipologie più comuni di educazione che possono piantare il seme della futura ansia sociale sono: il rifiuto del bambino, l’iperprotezione e la modalità ansiosa-diffidente (questo è il caso di Vanessa).

Quando il bambino viene rifiutato, non si stabilisce una connessione calda tra il bimbo e chi se ne prende cura. Questo lascia una traccia sulla sua psiche. Il bambino può essere ben nutrito e ben vestito, ma completamente solo. In questo caso, ci sono buone probabilità che diventi una persona aggressiva e oppositiva. O, viceversa, può diventare timida o anche timorosa, seguendo la tacita direttiva genitoriale di essere invisibili, di “non brillare”.

Alice ha sempre saputo che la sua nascita ha sconvolto la promettente carriera di attrice di sua madre. Sua madre ne parlava spesso, anche di fronte ad altre persone. Le informava di ogni dettaglio: il momento in cui ha visto quelle due strisce sfortunate sul test di gravidanza, subito prima di iniziare un fantastico tour teatrale, il fatto che hanno dovuto assumere un’altra attrice, che voleva abortire, ma aveva paura del dolore, di come ha rinunciato alla sua vita per amore di Alice, ma che ci vuoi fare. In momenti come questo, Alice si rannicchiava per essere più piccola possibile. Se avesse potuto scomparire, sotterrarsi, l’avrebbe fatto volentieri. O magari, avrebbe preferito non nascere affatto, solo per non rovinare la vita di sua madre …

In mezzo agli altri, Alice si sente inutile e indesiderata, come un terzo incomodo.

3. Esperienza sociale negativa

A volte accadono altri eventi. All’inizio, una persona non ha problemi di comunicazione, ma poi succede qualcosa…qualcosa che cambia tutto.

Katia aveva 12 anni quando la sua famiglia si è trasferita in un’altra città. Suo padre era nell’esercito e si trasferivano spesso. Nella nuova città, è andata in una nuova scuola. Era la terza volta che era la “nuova arrivata”. Prima, questo non le aveva causato grossi problemi. Katia si era adattata facilmente a nuovi compagni di classe e si era fatta dei nuovi amici. Ma non questa volta. La “reginetta” della scuola ha preso in antipatia Katia. La vedeva come una rivale poiché Katia era molto carina. Ha iniziato a spettegolare e mentire alle spalle di Katia e, presto, tutti hanno iniziato a tormentare Katia. All’inizio erano piccole cose: nascondevano i suoi quaderni o disegnavano scarabocchi nei suoi libri di testo. Ma poi l’entità degli “scherzi” ha cominciato a crescere, trasformandosi in vero e proprio bullismo. Insultavano Katia, la prendevano in giro, gettavano il suo zaino nella toilette. Il culmine è stato l’episodio in cui la “reginetta”, nel bel mezzo del cortile della scuola, ha tirato giù la gonna a Katia davanti a mezza scuola. Tutti ridevano. Venuti a conoscenza di tutto ciò, i genitori hanno trasferito Katia in un’altra scuola. Ma, a quel punto, Katia era molto cambiata. Aveva paura dei suoi coetanei, cercava di non comunicare con nessuno (aveva paura che la storia si ripetesse) e correva subito a casa dopo la scuola. 

E Pietro (fino a poco tempo fa, per tutti era solo Piero), il nuovo responsabile del dipartimento in cui è stato trasferito, è sempre stato una persona sensibile. Ma ha paura di parlare in pubblico, da quando si è innervosito alla presentazione davanti al nuovo team e ha dimenticato il discorso che aveva preparato con cura. I nuovi collaboratori non hanno perso l’occasione e hanno riso di lui. La sera, li ha sentiti ritrovarsi vicino al distributore dell’acqua e imitare il loro “capo impacciato”. 

Ovviamente, Katia e Pietro non hanno la classica ansia sociale. È una delle componenti del trauma che hanno vissuto in passato: è la loro reazione a qualcosa che è accaduto loro. Katia ha subito un pesante bullismo e ora ha bisogno di tempo e, forse, dell’aiuto di uno specialista, per ricominciare a fidarsi del mondo e per smettere di avere paura. Anche Pietro ha un punto debole: il suo delicato sistema nervoso. È sensibile allo stress e, come ben sai, “dove è sottile, lì si rompe”. La presa in giro del suo team ha minato la sua autostima e ha portato all’evitamento nevrotico di tali situazioni.

È così che accade: la situazione è già nel passato, ma le persone continuano a sentirsi come se il proprio benessere e la propria autostima fossero ancora in pericolo. Come se portassero in uno zaino tutti i loro ricordi e, in situazioni simili, li tirassero fuori e li sovrapponessero al nuovo contesto sociale.

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