Il corpo durante un attacco di panico

Abbiamo già detto che gli attacchi di panico non sono causati da una vera patologia psicologica o somatica. Provengono da “disordini” del sistema nervoso autonomo. Quando non ti senti stabile, qualsiasi esperienza emotiva (vedere la porta di un autobus, se il tuo primo attacco è avvenuto su un autobus, o ricevere brutte notizie, o semplicemente ricordare l’attacco di panico precedente) può causare una potente scarica di adrenalina. E appare subito la tua reazione nervosa autonoma, chiedendo: “Eccomi, mi hai chiamato? Avverto il pericolo!”.

Questa combinazione di sintomi nervosi autonomi è associata a un grave malessere fisico o psicologico, poiché colpisce con molta forza. Per cominciare, analizziamo cos’è il sistema nervoso autonomo.

Le persone non hanno un solo sistema nervoso, ma due. Il primo è il sistema nervoso centrale (cervello e midollo spinale) e il secondo è il sistema nervoso periferico (i nervi, i gangli e i recettori del corpo). Il sistema periferico è costituito da due parti: la prima gestisce i muscoli, trasmettendo i segnali dal cervello ai muscoli. Controlla i movimenti del corpo, l’equilibrio, ecc. E la seconda è il sistema autonomo. È responsabile del funzionamento degli organi interni. Come un direttore di una grande azienda, delega i vari compiti importanti ai diversi organi: il battito cardiaco, la pressione sanguigna, la produzione di urina, saliva e sudore, la frequenza e la profondità della respirazione, la peristalsi del tratto gastrointestinale, la produzione di ormoni e molto altro ancora. Perché si verifichi un attacco di panico, il sistema nervoso centrale deve valutare l’ambiente come pericoloso e quello periferico deve radunare tutte le risorse nascoste del corpo per affrontare questo pericolo.

Il sistema nervoso autonomo si divide in due parti: simpatico e parasimpatico. Il primo intensifica il funzionamento degli organi interni, mentre il secondo lo riduce. Di conseguenza, il sistema simpatico crea la tensione necessaria quando l’organismo ha bisogno di combattere o fuggire dal pericolo. Il tono muscolare aumenta, i processi metabolici si intensificano, la pressione sanguigna aumenta, la respirazione diventa più frequente e meno profonda, la frequenza cardiaca aumenta, ecc. Il sistema parasimpatico è responsabile del rilassamento, della digestione e del riposo. Prende il sopravvento quando l’organismo si rende conto che “va tutto bene, posso rilassarmi”.

Quando una persona vive grandi sconvolgimenti emotivi oppure una tensione prolungata, l’ipotalamo (l’area del cervello che produce i segnali di allarme) inizia a segnalare all’ipofisi lo stato di stress (come il top management invia una direttiva). L’ipofisi, a sua volta, lo “comunica” alle ghiandole surrenali. Queste, da buoni “operai”, si mettono al lavoro e iniettano nel flusso sanguigno la quantità di adrenalina appropriata in una situazione di emergenza, come un incendio, un’imboscata, una crisi finanziaria o la morte di una persona cara. Con questi livelli di adrenalina, sopraggiunge lo stato di panico. Poiché la decisione di avere un attacco di panico è presa dall’organismo nel suo insieme ma è attuata dagli “operai”, gli attacchi di panico possono provocare sintomi diversi in persone diverse.

Quando una persona vive un PA per la prima volta, si spaventa molto e teme davvero molto il ripetersi di un evento del genere. Nessuno vuole provare di nuovo queste strane sensazioni “stupefacenti”.

Cosa succede al cervello in questi momenti?

Poiché la carica emotiva è così elevata, il soggetto si fissa sulle sue spiacevoli sensazioni fisiche. Forma molto rapidamente un collegamento (connessioni neurali): “Oh, l’ultima volta sono stato male in metropolitana, la prossima volta succederà ancora”. Oppure, “quando il mio cuore batte in questo modo, ho problemi di respirazione e vengo sopraffatto dalla paura”.

Mentre stava prendendo il bus, Katia ha avuto un problema di stomaco (in parole povere, un attacco di diarrea). Ha sopportato 20 terribili minuti prima di poter correre fuori dall’autobus e trovare il bagno più vicino. È stata un’esperienza terribile per lei e ha provato vero e proprio panico. Anche se sapeva che il colpevole era il taco piccante che aveva comprato da un venditore ambulante, la volta successiva che è dovuta salire su un autobus, ha provato una forte paura. Immediatamente, il suo stomaco ha iniziato a farle male…

Quando una persona vive un attacco di panico, può sviluppare la paura che l’attacco si ripeta. Pertanto, può iniziare a evitare determinati luoghi e situazioni che, nella sua mente, sono collegati all’attacco. In men che non si dica, non è in grado di stare da sola a casa, o di stare nei luoghi affollati, o di essere lontana da un bagno, oppure evita gli ascensori, le scale mobili o la metropolitana. Tuttavia, tutti questi tentativi disperati si limitano a “alimentare” la sua rete neurale perché l’evitamento rafforza e consolida soltanto i disturbi. La persona fa di tutto per eludere quell’incubo, ma la sua fissazione su “tutto tranne questo” è ciò che alimenta i suoi attacchi di panico, come se i vasi sanguigni alimentassero un tumore.

Tutto ciò comporta limitazioni significative e in continua crescita nella vita di una persona che soffre di questo disturbo e rafforza la presenza di attacchi di panico. La convinzione del soggetto che l’attacco di panico possa essere fatale e che dovrebbe essere evitato a tutti i costi si rafforza.

Una volta avvenuto l’attacco di panico, entrano in campo nuovi giocatori: i trigger (fattori scatenanti). Anche se al soggetto sembra che un attacco avvenga letteralmente “dal nulla”, ci sono sempre eventi, sensazioni o pensieri che provocano l’insorgere di un attacco di panico. E in seguito, anche tutto ciò che è associato al PA può diventare un fattore scatenante per l’insorgere di un attacco. Pertanto, ad ogni nuovo attacco, l’elenco dei trigger può essere aggiornato con quelli che ora sono collegati al PA per associazione. Prima, gli attacchi di panico avvenivano solo nel bus, poi solo sul tragitto per il lavoro, ora l’intera strada sembra essere un trigger continuo.

Tali stimoli provocano cambiamenti somato-vegetativi nel corpo umano, che li interpreta come una minaccia incombente per la sua salute fisica (paura della morte per infarto, soffocamento) o mentale (paura di impazzire o di perdere il controllo della situazione).

I trigger esterni degli attacchi di panico includono: caffeina, bevande alcoliche, nicotina, droghe, stanze soffocanti, odori forti, luci lampeggianti, freddo o, al contrario, caldo.

I trigger interni degli attacchi di panico sono estremamente vari. Possono essere:

  • mancanza di sonno,
  • esaurimento cronico,
  • stress intenso,
  • basso livello di zucchero nel sangue,
  • malattie somatiche concomitanti (disturbi ormonali, ipertensione),
  • emozioni negative (rabbia intensa, risentimento, paura, vergogna, gelosia),
  • un luogo che ricorda i passati PA,
  • spazi chiusi o aperti,
  • paura di un altro attacco.

Cos’altro fa una persona che ha paura degli attacchi di panico? Avviso spoiler: non funziona.

  • Utilizza dei metodi per controllare la sua ansia, “per prevenire i problemi”. Ad esempio, prende la metropolitana solo se accompagnata da qualcuno, limita il raggio dei luoghi visitabili, porta costantemente con sé le “pillole magiche” (i sedativi).
  • Cerca in tutti i modi di evitare emozioni forti.
  • Si comporta con cautela. Katia, dell’esempio precedente, guarda in anticipo la mappa del percorso, annota i servizi igienici e ingoia, preventivamente, un Imodium.

Come puoi immaginare, la vita del soggetto diventa sempre più limitata. Si trasforma in una lotta senza fine per prevenire un possibile PA. La persona vive, ma la qualità della sua vita diminuisce drasticamente. Non è in grado di sentirsi felice e di godersi le cose semplici.

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